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Ieri sera ho attraversato quella strada, proprio lì dove c’era il cinema in cui tante volte ero stata in passato.

Un cinema di nicchia, d’essai li chiamano, in cui si vedevano i film che non avremmo mai trovato nelle grandi sale, film per pochi, per uomini di cultura con gli occhialetti tondi e donne dai vestiti attillati sugli anfibi di gomma.

Ci andavamo anche noi curiosi, noi che amiamo un certo tipo di emozioni, noi che spesso piangiamo tra i sedili scomodi.

Mentre guidavo, stanca e assonnata, il mio sguardo vagò dal cinema, con i suoi ricordi ancora vivi, verso la pizzeria di fronte.

Fu allora che lo vidi.

Se ne stava nell’atrio del suo locale, proprio al centro, i piedi ben piantati per terra, il grembiule legato in vita, il cappello da cuoco in testa. Era lì che aspettava, solo.

Mi montó una grande rabbia. Sentii il cuore battere forte. Le lacrime facevano capolino ma le respinsi indietro. Dovevo guidare, non era il momento dei convenevoli lacrimosi con me stessa.

Continuavo però a vedere quell’immagine che annegava tra i pieni e i vuoti di questa maledetta pandemia. Tra i silenzi di chi si è arreso e le proteste di chi vuole andare avanti.

Mi sarebbe piaciuto fermarmi e dirgli: “Beh che aspetti? Impasta quella massa e fammi la mia pizza preferita, quella con le melanzane gratinate.
Subito, adesso! Riempiamo questi vuoti e svuotiamo la paura, proprio lì di fronte, nel mare, a secchiate, lasciamo che lui se la porti finalmente via.”

Non mi fermai. Tornai a casa. Aprii la porta e mi buttai sul divano. Ero esausta e arrabbiata.

“Voglio scendere da questa giostra”. Fu questo l’ultimo pensiero della mia giornata.

Laboratorio di scrittura Maledetti Vivaci-seconda lezione.

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Iniziai quell’esercizio: seduta a terra con le gambe incrociate, guardai la luce della candela che avevo acceso in fretta, cambiando idea mille e mille volte ancora.


Così, mentre la fiamma vibrava, presi a fissarla senza muovere un solo atomo dell’istante di vita in corso.


Quando le lacrime cominciarono a scorrere dagli occhi stanchi alle guance, giù giù fino ai luoghi del piacere supremo, fu allora che smisi di guardare la luce di quel cero perchè la fiamma cominció a guardare me.


Un occhio sbatteva le palpebre e fissava proprio me, inerme, spaventata. Ogni organo del mio corpo sembrava essersi dissolto, risucchiato dalla luce di quello sguardo.


Quando ho iniziato volevo prendere, ora ero io a essere presa.
Ero io la preda di quel guardare, nuda di tutto ciò che mi dava vita, prima di quel momento. Nella luce si persero le certezze, la volontà, i dubbi e le paure.


Fu un attimo. La passione mi travolse e poi più niente. Pace. Silenzio.
Aprì gli occhi e ripresi così il mio guardare.
La candela era ancora lì, la luce si faceva poco a poco più fioca.


Mi sdraiai per terra cercando di dare un nome a ciò che era successo.
Non ci riuscì mai.
Forse è stato meglio così.
È quando ci ostiniamo a dare un nome alle cose che la cera si consuma e la luce si spegne.

Maledetti Vivaci – corso di scrittura – prima lezione