Blog, Letteratura


Ieri sera ho attraversato quella strada, proprio lì dove c’era il cinema in cui tante volte ero stata in passato.

Un cinema di nicchia, d’essai li chiamano, in cui si vedevano i film che non avremmo mai trovato nelle grandi sale, film per pochi, per uomini di cultura con gli occhialetti tondi e donne dai vestiti attillati sugli anfibi di gomma.

Ci andavamo anche noi curiosi, noi che amiamo un certo tipo di emozioni, noi che spesso piangiamo tra i sedili scomodi.

Mentre guidavo, stanca e assonnata, il mio sguardo vagò dal cinema, con i suoi ricordi ancora vivi, verso la pizzeria di fronte.

Fu allora che lo vidi.

Se ne stava nell’atrio del suo locale, proprio al centro, i piedi ben piantati per terra, il grembiule legato in vita, il cappello da cuoco in testa. Era lì che aspettava, solo.

Mi montó una grande rabbia. Sentii il cuore battere forte. Le lacrime facevano capolino ma le respinsi indietro. Dovevo guidare, non era il momento dei convenevoli lacrimosi con me stessa.

Continuavo però a vedere quell’immagine che annegava tra i pieni e i vuoti di questa maledetta pandemia. Tra i silenzi di chi si è arreso e le proteste di chi vuole andare avanti.

Mi sarebbe piaciuto fermarmi e dirgli: “Beh che aspetti? Impasta quella massa e fammi la mia pizza preferita, quella con le melanzane gratinate.
Subito, adesso! Riempiamo questi vuoti e svuotiamo la paura, proprio lì di fronte, nel mare, a secchiate, lasciamo che lui se la porti finalmente via.”

Non mi fermai. Tornai a casa. Aprii la porta e mi buttai sul divano. Ero esausta e arrabbiata.

“Voglio scendere da questa giostra”. Fu questo l’ultimo pensiero della mia giornata.

Laboratorio di scrittura Maledetti Vivaci-seconda lezione.