Poesia

Ho messo le ali
al tuo cuore ribelle
e gli ho detto di andarsene.

Seguirò il suo volo da lontano.
Intingerò la penna tra le mie lacrime
e scriverò fiumi in piena di parole.

Di nuovo guarderò il cielo,
di nuovo tornerò a scrivere.

Nessuna gabbia avrà il tuo cuore,
nessuna catena per le mie parole.

Poesia

Se non hai
tanta fretta
potresti renderti conto di molte più cose.
Se sei un uomo
scopriresti
che la donna che porti dentro sogna
di poter mettersi a piangere
e se sei una donna
che l’uomo che porti dentro sogna
di poter rendere conto
della tua fragilità sprecata
Scopriresti
che quasi tutto quello che rimproveri agli altri
è un rimprovero che hai evitato di farti
Se ti dessi il tempo di contemplare
il tappeto del paesaggio che hai tessuto con la tua vita
potresti scoprire molti sentieri che hai saltato
ai quali non potrai tornare
E forse grazie alla tua scoperta
smetteresti di far correre il giorno
per raggiungere velocemente la notte
smetteresti di scavalcare l’inverno
per arrivare in fretta all’estate
e con questo sapere
allungheresti in modo considerevole la tua vita.

Maria Wine (1912- 2003)
Poetessa e scrittrice danese-svedese

Via Venezia-Bari

Blog, Poesia

“Le donne fanno spesso l’errore di perdersi.
Si perdono in amori sbagliati,
in storie che le consumano,
in amicizie deludenti,
in giornate tristi.
A volte, le donne si consumano.
E un poco alla volta smettono di sorridere,
di ballare, di meravigliarsi.
E poi fanno l’errore più grande.
Si dimenticano chi sono e come lo sono diventate.
Dimenticano di essere speciali. E rare.
Poi, però, ed è questa la bellezza delle donne,
arriva un giorno in cui stravolgono tutto,
e dicono “no, così non va”.
E riaprono gli occhi.
E in quel momento,
guardandosi allo specchio,
si ritrovano.
In uno sguardo nuovo.
In una pettinatura insolita.
In una sfrontatezza improvvisa.
Si riscoprono uguali, ma diverse.
Più forti. Più vive.
Ed è bellissimo
quando una donna si innamora
di sé stessa”

(Riccardo Bertoldi)

Foto di Paul Wolff

Blog, Letteratura

Colette era sdraiata sul lettino in terrazza. Sorseggiava un tè freddo con un sorso di brandy.
Il sole era alto e l’estate bussava alla porta, riflettendosi sulle colline intorno e tuffandosi nel mare. Il vicinato era assopito e la musica scorreva placida e avvolgente.

Fino all’indomani nessuno l’avrebbe disturbata. La famiglia era fuori dal mattino, avrebbero cenato al ristorante e l’argenteria poteva aspettare il calar del sole. Erano buoni con lei, sempre grati per il suo lavoro e le sue attenzioni. Colette era fatta così, aiutava e ascoltava.

Le piacevano le persone. Le piaceva guardarsi intorno.
Nella villa accanto i ragazzi leggevano sull’amaca. Tom Saywer era il loro personaggio preferito. Di fronte i signori Nelson erano in videochiamata con il nipotino. Da quando erano diventati nonni non avevano occhi e orecchi che per lui. Ah poi c’era lei, la signorina Penelope, bella come Audrey Hepburn ai tempi di
Colazione da Tiffany, tutto il terrazzo era color tiffany in effetti. Tanti corteggiatori si sedevano su quelle poltrone, ben pochi entravano in camera da letto.

Driiiiin. Colette saltò dal lettino e si precipitò a rispondere al telefono di casa. “Colette, c’è stato un cambio di programma, ceniamo a casa stasera. Riesci a prepararci una cena light? Nulla di impegnativo. Salmone marinato. Salsa rosa. Crostini. Una bella macedonia. Se trovi la panna sarebbe perfetto! Hai finito con l’argento?”. Colette sospirò e pensò ad alta voce:”In un’altra vita voglio rinascere Penelope”. “Come? Non ho capito”, disse la voce dall’altro capo del telefono. “Mi scusi signora, la linea è disturbata, l’argento splende come il sole nel cielo. A stasera”.

Colette indossò il pareo e cominciò a pulire l’argento. Ripensando alla telefonata rise di gusto.

Immagine: La stanza rossa di Henri Matisse

Lab di scrittura riSTORYanti tenuto da Antonella Petrera a cura di Colori Vvaci

Blog, Letteratura

Fuggì da quella casa in fretta e furia senza prendere altro se non il trasportino con la sua amata Briscola. Una gattina siamese che Mary aveva salvato dalla strada e di cui ora non poteva fare più a meno.

Scappò a perdifiato da quell’uomo crudele che aveva distrutto ogni virgola della sua autostima.
Dopo un’oretta Mary fermò stremata la macchina, più per l’agitazione che per la strada percorsa.

C’era un piccolo ristorantino, alla buona, una palafitta sul mare che profumava di cibo confortevole e di sogni infranti. Ebbe fame.
Entrò e fece un timido cenno a Briscola che sonnecchiava nel trasportino. La donna che l’accolse le strizzò l’occhio e le indicò un bel tavolino con vista mare.

Mary, ancora spaventata dall’ultima sfuriata con “il mostro”, come ormai lo chiamava nei suoi pensieri, si sedette e finalmente cedette ad un pianto liberatorio.

La padrona del locale, Olga, si avvicinò e le porse un fazzoletto ricamato, al tatto era morbidissimo e delicato, e con stupore di Mary riportava le iniziali del suo nome e cognome Mary Thompson.
Rimase interdetta ma si sentì improvvisamente serena e al sicuro. Guardò a lungo il mare e poi avvertì Briscola lamentarsi.

Il locale era vuoto e la fece uscire dal trasportino. La micia saltò sulla ringhiera e la guardava con i suoi occhietti indagatori. Li spostava da Mary al mare e viceversa.
Sembrava in pace anche lei.
Olga portò il piatto del giorno, un buon vino rosso e una ciotola di croccantini per Briscola.

Mentre tornava in cucina le sembrò nitidamente di sentire una voce: ”Forza ragazza, il peggio è passato, ora muoviamoci, compriamo dei vestiti nuovi e un collarino prezioso per me e via alla conquista del mondo”.
Olga si girò di scatto ma Mary e Briscola si godevano il loro meritato pranzo, in silenzio.

Lab di scrittura riSTORYanti tenuto da Antonella Petrera a cura di Colori Vivaci