Letteratura, Teatro

Vi faccio dono di un altro stralcio del libro di Sartre sulla Natività di Gesù.

Sartre mise in scena il testo nel campo di prigionia, dove lo scrisse, per allietare il Natale dei suoi compagni. Lui stesso impersonò Baldassarre nella rappresentazione teatrale. Si parla di Speranza, la Speranza dell’Epifania.

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Bariona: Non credo più al Messia nè a tutte le vostre frottole. Voi altri ricchi, i re, vedo chiaro nel vostro gioco. Ingannate i poveri con corbellerie perché stiano tranquilli. Ma vi dico che non mi ingannerete, Abitanti di Bethàur, non voglio più essere il vostro capo perché avete dubitato di me. Ve lo ripeto per l’ultima volta: guardate la vostra disgrazia in faccia, poiché la dignità dell’uomo e nella sua disperazione.

Baldassarre: Sei sicuro che non è piuttosto nella sua speranza? Non ti conosco affatto, ma vedo nel tuo viso che hai sofferto e vedo anche che ti sei compiaciuto nel tuo dolore. I tuoi tratti sono nobili ma i tuoi occhi sono metà chiusi e le tue orecchie sembrano tappate, cioè nel tuo viso il peso che si incontra su quelli del cieco e del sordo;  tu rassomigli a uno di quelli idoli trucidi e cruenti che adorano i poveri pagani. Un idolo selvatico dalle ciglia abbassate, cieco e  sordo alle parole umane e che non ascolta che i consigli del suo orgoglio. Pertanto, guardaci: abbiamo sofferto anche noi, e siamo saggi tra gli uomini. Ma quando questa nuova stella è apparsa abbiamo lasciato senza esitare i nostri regni e l’abbiamo seguita e andiamo ad adorare il nostro Messia.

Bariona: Ebbene: andate e adoratelo. Chi ve lo impedisce, che cosa c’è tra voi e me?

Baldassarre: Qual è il tuo nome?

Bariona: Bariona. E dunque?

Baldassarre: Tu soffri, Bariona. Tu soffri e pertanto il tuo dovere è di sperare. E’ tuo dovere di uomo. E per te che il Cristo è disceso sulla terra.  Per te  più che per qualsiasi altro, poiché soffri più di qualunque altro. L’Angelo non spera perché gioisce della sua gioia e Dio gli ha, in anticipo, dato tutto e il ciottolo non spera di più, poiché vive stupidamente in un presente perpetuo. Ma quando Dio ha plasmato la natura dell’uomo, ha creato insieme la speranza e la preoccupazione. Poiché l’uomo, vedi, è sempre molto più di quel che è. Vedi questo uomo, tutto appesantito dalla sua carne, radicato sul luogo dei suoi due grandi piedi e tu dici, stendendo la mano per toccarlo: è là. E ciò non è vero: ovunque sia, un uomo Bariona è sempre altrove. Oltre le cime violette che tu vedi di qui, a Gerusalemme;  a Roma, oltre questa giornata glaciale, domani. E tutti questi che ci circondano, sarà difficile che siano ancora qui:  sono a Betlemme in una stalla attorno al piccolo corpo caldo di un bambino. E tutto questo avvenire di cui l’uomo è plasmato, tutte le cime, tutti gli orizzonti violetti, tutte queste città meravigliose che bazzica senza mai averci messo i piedi:  è questa la Speranza. E’ la Speranza. Guarda i prigionieri che sono davanti a te, che vivono nel fango e nel freddo. Sai quello che vedresti se potessi seguire la loro anima? E colline e i dolci meandri di un fiume e delle vigne e il sole del Sud, le loro vigne loro Sole. E laggiù che essi sono. E le vigne dorate di settembre, per un prigioniero intirizzito e coperto di parassiti, questa è la Speranza. La Speranza il meglio di essi. E tu, vuoi privarli delle loro vigne e dei loro campi e dello splendore delle colline lontane, vuoi lasciar loro solo il fango e pidocchi e la rutabaga, vuoi dar loro il presente spaventato della bestia. Poiché la tua disperazione: ruminare l’istante che passa, guardare i tuoi piedi con un occhio rancoroso e stupido, strappare la tua età dall’avvenire e richiuderla in un cerchio attorno al presente. Allora non sarai più un uomo, Bariona, non sarai che una pietra dura e nera sulla strada. Sulla strada passano delle carovane, ma la pietra resta sola e irrigidita come un limite nel suo risentimento.

Bariona: Tu vaneggi vecchio.

Baldassare: Bariona, è vero che siamo molto vecchi e molto sapienti e conosciamo tutto il male della terra. Pertanto quando abbiamo visto quella stella nel cielo, i nostri cuori hanno gioito  come quelli dei bambini e siamo diventati i bambini e ci siamo messi in cammino, perché volevamo compiere il nostro dovere di uomini che sperano.  Che perde la Speranza, Bariona, sarà cacciato dal suo villaggio, sarà maledetto e le pietre del cammino gli saranno più spigolose e i rovi più pungenti e il fardello che porta più pesante e tutte le disgrazie si abbatteranno su di lui come api irritate, ed ognuno si befferà di lui e griderà: Dagli!  Ma a chi spera, tutto gli sorride e il mondo è dato come un regalo. Andiamo, guardate se dovete rimanere qui o decidetevi a seguirci.

Da Bariona o il figlio del tuono di J.P. Sartre

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Letteratura, Teatro

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“Ma ascoltate: non avete che da chiudere gli occhi per sentirmi e vi dirò come li vedo dentro di me. La Vergine è pallida e guarda il bambino. ciò che bisognerebbe dipingere sul suo volto è uno stupore ansioso che non è apparso che una volta su un viso umano. Poiché il Cristo è il suo bambino, la carne della sua carne, è il frutto del suo ventre. L’ha portato nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà in sangue di Dio. E in certi momenti, la tentazione è così forte che dimentica che è Dio. Lo stringe tra le sue braccia e dice piccolo mio! Ma in altri momenti rimane interdetta e pensa: Dio e là e si sente presa da un orrore religioso per questo Dio muto, per questo bambino terrificante. Poiché tutte le madri sono così attratte a momenti davanti a questo frammento ribelle della loro carne che è il loro bambino e si sentono in esilio davanti a questa nuova vita che è stata fatta con la loro vita e che popolano di pensieri estranei.

Ma nessun bambino è stato più crudelmente e più rapidamente strappato a sua madre poiché egli è Dio ed è oltre tutto ciò che lei puoi immaginare. Ed è una dura prova per una madre aver vergogna di sé e della sua condizione umana davanti a suo figlio. Ma penso che ci sono anche altri momenti momenti, rapidi e difficili, in cui si sente nello stesso tempo che il Cristo è suo figlio, il suo piccolo, e che è Dio. Lo guarda e pensa:<<Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. E’ Dio e mi assomiglia>>. E nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive.

Ed è in questi momenti che dipingerei Maria se fossi pittore e cercherei di rendere l’espressione di tenera audacia e di timidezza con cui protende il dito per toccare la dolce piccola pelle di questo bambino-Dio di cui sente sulle ginocchia il peso tiepido e che le sorride.

Questo è tutto su Gesù è sulla Vergine Maria. E Giuseppe? Giuseppe, non lo dipingerei. Non mostrerei che un’ombra in fondo al pagliaio, due occhi brillanti. Poiché non so cosa dire di Giuseppe e Giuseppe non sa che dire di se stesso. Adora ed è felice di adorare e si sente un po’ in esilio. Credo che soffra senza confessarselo. Soffre perché vede quanto la donna che ama somiglia a Dio, quanto già sia vicino a Dio. Poiché Dio è scoppiato come una bomba nell’intimità di questa famiglia. Giuseppe e Maria sono separati per sempre da questo incendio di luce. E tutta la vita di Giuseppe, immagino, sarà per imparare ad accettare. Miei buoni signori, questa è la Sacra Famiglia.”

Da Bariona e il figlio del tuono di J.P. Sartre