Poesia

Ti amo Calabria
Per gli assorti silenzi delle tue selve
che conciliano i sogni dei pastori
e le estasi degli eremiti.
Ti amo per quel fiume di alberi
che dalle timpe montane
arriva ai due mari
a bere il vento del largo
frammisto all’aroma del mirto.
Ti amo per le solitarie calanche
chiuse da strapiombi di rocce
che prendon colore dall’alga
nata dallo spruzzo dell’onda…
Ti amo per le spiagge deserte
bianche di sole e di sale
dove fanciulle invisibili
sorelle di Nausicàa
corrono sul frangente marino
i piedi slacciati dai sandali.
Ti amo per la fatica durata
a domar le montagne, a bucarle,
a intrecciarle a festoni di pergola,
a cavarne grasse mammelle
di moscato d’oro per mense di dei.
Ti amo per l’aspro carattere
fortificato da solitudini
secolari, bisognoso
di poche essenziali parole
mai vacillante
davanti alla congiura dei giorni.
Ti amo, infine Calabria,
per l’uomo che hai fatto di me
in tante amarissime prove.
Un uomo disinteressato e leale
sempre aperto alla fiducia
sempre disposto a dare
senza niente ricevere in cambio.
E ti amo pure, Calabria,
per il male che brutalmente
gli eterni làzzari della tua Storia
han fatto a me
il bisogno di assoluto
di verità di giustizia
di libertà di eguaglianza
che tu mi desti col sangue.
Minacciato di morte sommaria
promesso al carcere a vita
potei misurare dal bene
che continuavo a volerti
quanto tu fossi me, Calabria,
quanto io fossi te, Calabria.
Ti vedevo con gli occhi
il sorriso la voce il passo
di mia madre, e da quel momento
cessai di temere,
fui sicuro che la sofferenza
durata avrebbe inserita
la mia piccola storia di uomo
in quella tua grande, Calabria,
avrebbe creato
un messo sempre più stretto
tra tè che hai tanto patito
nel tempo, ed io che portavo
la mia parte di sale al tuo mare.
E un giorno non troppo lontano
unito a te nella zolla
sarò anch’io Calabria,
sarò il fremito dei tuoi alberi,
il murmurc della tua onda,
il sibilo dei tuoi uragani,
il profumo delle tue siepi
la luce del tuo cielo.
Si dirà Calabria e anch’io
sarò compreso in quel grande
e immortale nome, anch’io
diventato un ulivo
dalle enormi braccia contorte
spaccate dal vento dei secoli,
anch’io sarò favola al canto
che sgorghi improvviso
come acqua dal sasso
dalle labbra di un giovinetto pastore
dell’Aspromonte, davanti
al fuoco ristoratore
di un vaccarizzo odoroso
di latte e di redi
nella lunga notte invernale.
(Leonida Répaci)

Scatto (mio!) da Villa Pietrosa a Palmi (RC), residenza di Répaci.