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A volte è davvero così, le persone che ami le ritrovi tra le pagine di un libro, sono lì. Leggi e rileggi e ne rimani stupito perchè ti ci ritrovi pure tu assieme a chi ami.

“Rise, proprio mentre il suo piede si intrappolava nella tracolla della borsa e gli cade addosso. Lui la afferrò facilmente e per un secondo il mondo si rimpicciolì fino a raggiungere il diametro dei suoi occhi azzurro acceso. In quel momento non esisteva null’altro se non il lento dilatarsi delle sue pupille, mentre la teneva tra le braccia, occhi negli occhi.”

da Un Diamante da Tiffany di K. Swan

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Memoria

Dedica ai bambini dello #Shoah

Un pomeriggio il sole diventò un enorme sorriso e gli alberi incominciarono a vestirsi di felicità. Un fascio di nuvole passava da quelle parti e portava in grembo un ragazzino con il cappello degli Yankees in testa che guardava in giù e sospirava la felicità.

Il mondo girava all’incontrario e tutte le tristezze non esistevano più.

Ci si poteva tuffare tra i sorrisi delle persone; non c’erano più scheletri e filo spinato perché tutti erano forti e giovani. Le case erano senza tetto perché il tetto era lo stesso cielo. La notte non era più notte perché le stelle illuminavano solo il giorno e le brande erano grandi parchi poiché non esisteva più stanchezza e solitudine e l’erba era morbida e profumata.

Il mondo girava all’incontrario e tutte le tristezze non esistevano più.

Non vedevo l’ora di abitare quel mondo tanto strano e fabiesco ed ero così emozionato a tal pensiero che quando mi trascinarono dentro a farmi una strana doccia girai il mio cappellino degli Yankees all’incontrario, presi quanto possibile le mani degli altri ragazzini e ci tuffammo nel vuoto…

…il sole era un enorme sorriso e gli alberi incominciarono a vestirci di felicità.

Paolo Cilfone

Blog, Letteratura

aldo

Aldo si affacciò alla mensa tra gli altri operai, scelse l’ultimo tavolo vicino alla finestra e tirò fuori il panino preparato da sua madre; si vergognava tanto ma non poteva fare a meno di non sentire l’odore di casa sua.

Era cosi anche quando Aldo era studente e si sedeva all’ultimo banco della classe per paura di essere interrogato. Per arginare quel senso di angoscia tirava fuori il panino preparato dalla madre e d’incanto le sue paure svanivano.

Aldo è un padre premuroso e fa sedere il suo unico figlio a capotavola; lo riempie di attenzioni e quando lo accompagna a scuola si raccomanda di avere un sorriso per tutti e di giocare sempre con chi occupa l’ultimo posto nella classe.
Oggi Aldo non è più un operaio ma un direttore di azienda. Ha costruito una mensa a forma circolare dove non ci sono ultimi posti ma tutti si parlano e condividono il loro pranzo. Lui pranza tra i suoi collaboratori e non fa mai mancare nel menu gustosissimi panini farciti.

L’azienda si chiama Any, diminutivo di Anna, il nome della mamma di Aldo e suo figlio è un semplice operaio che ha nella sua borsa il panino preparato dalla nonna.

Il figlio di Aldo ha un futuro radioso.

Racconto di Paolo Cilfone

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Molti diventano personaggi perché non sanno essere persone. (Gesualdo Bufalino)

Qualche giorno fa mi sono imbattuta in questa citazione di Gesualdo Bufalino e ho cominciato a riflettere su questo post…poi oggi ho trovato questo scritto e a questo punto mi sono resa conto che i miei pensieri collimavano in una idea concreta, ossia la necessità di fare pace con la propria umanità.

Siamo, talvolta, talmente presi dall’idea di noi stessi, da quello che vogliamo che gli altri pensino di noi che, appunto come dice Bufalino, ci ritroviamo più ad essere personaggi che non persone.

Solo che la nostra vita non si svolge su di un palco di un teatro ma per le strade di una città, nelle case, tra la gente e in queste circostanze i personaggi servono a poco, contano di più invece le persone.

In passato mi sono trovata anche io a fare i conti con il mio personaggio, nato dal nulla e probabilmente frutto di un retaggio familiare. Ci siamo scazzottati parecchio, sono dovuta inciampare diverse volte, arrivando anche a recare involontari dispiaceri in giro, fino a quando non sono riuscita a  riabbracciare la mia umanità.

Non si può piacere a tutti, non si può essere sempre presenti, non si possono sposare le idee degli altri per far loro piacere, non si può dire sempre di sì e nemmeno sempre di no, non si può essere quelli che non si è solo perchè vogliamo che gli altri pensino bene di noi.

Siamo esseri umani, con i nostri limiti, facciamo i nostri scivoloni e dobbiamo avere l’umiltà di prenderne consapevolezza con noi stessi e con gli altri che, dopotutto, sono stati messi sopra la nostra strada per farci crescere ed anche per insegnarci a conoscere quelle parti di noi stessi che ci premuriamo tanto di tenere nascosti nell’ombra.

Se una persona ci vuole bene ci accetta, ci aiuta, ci rimprovera anche all’occorrenza, amerà il personaggio quanto la persona, in caso contrario, beh siamo 5 miliardi su questa terra, no?

 

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Blog, Spiritualità

Ecco l’Agnello che toglie il peccato del mondo. Non i <<peccati>>, al plurale, ma il peccato al singolare; non i singoli atti sbagliati che continueranno a ferirci, ma una condizione, una struttura profonda della cultura umana, fatta di violenza e di accecamento, una logica distruttiva, di morte. In una parola, il disamore che ci minaccia tutti, che è assenza di amore, incapacità di amare bene, chiusure, fratture, vita spente. Gesù, che sapeva amare come nessuno, è il guaritore del disamore. Egli conclude la parabola del Buon Samaritano con parole di luce: fai questo e avrai la vita. Vuoi vivere davvero? Produci amore. Immettilo nel mondo, fallo scorrere…e diventerai anche tu un guaritore del disamore.

Ermes Ronchi

Dal Foglio di Santa Fara del 15 Gennaio 2017.

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Blog, Poesia

La passione bruciava sui binari

E il treno che ti portava via da me arrivò.

Un lieve bacio.

Tu verso il mondo

Io avvolta dalla città.

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Blog, Spiritualità

“Tacitamente nevica sui rami, sui campi muti; e tutto imbianca un gelo, tutto agghiaccia un oblio. Par che dal cielo piova silenzio, e pare un sogno il mondo. (Giovanni Marradi)

“Egli sparge la neve come uccelli che discendono, come locusta che si posa è la sua caduta. L’occhio ammira la bellezza del suo candore e il cuore stupisce al vederla fioccare”. Quasi con gli occhi stupiti di un bimbo, il Siracide (43,17-18), sapiente biblico del II secolo a.C., con queste parole contemplava una nevicata su Gerusalemme e sul deserto di Giuda. Con gli stessi occhi noi tutti da bambini stavamo col naso incollato alla finestra assistendo al distendersi di questo manto candido sul creato. E con la stessa intensità anche i versi di Giovanni Marradi (1860 1922), poeta livornese, riproducono davanti ai nostri occhi un’esperienza che in varie aree del nostro paese si sta ora ripetendo. E’ soprattutto un’esperienza di silenzio: la neve non ha il fragore del temporale o il picchiettare della pioggia battente, è tacita e genera attorno a sè un alone di quiete, anche perché le auto non possono più sfrecciare e i rumori si attutiscono.

“Non uscire di casa. Resta al tuo tavolo e ascolta. Non ascoltare nemmeno, aspetta soltanto. Non aspettare nemmeno, sii assoluto silenzio e solitudine.” Era il grande Kafka a lanciare questo appello che facciamo nostro. La neve è un segno di candore; il bianco è come il silenzio perché nulla vi è scritto; eppure sappiamo che è la sintesi di tutti i colori. Riflettere, meditare, contemplare sono atti silenziosi che si aprono però sulle parole più importanti, sulle azioni decisive, sul mistero che è in noi e che oltre noi.

Dal Foglio Santa Fara del 8 Gennaio 2017.

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Blog, Poesia

Avvolta nel colore del mare
placo l’ondeggiare dei pensieri,
nei tuoi occhi il mio amore,
nelle tue mani il mio cuore.

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